Arroccato sulle montagne dell’entroterra ligure di Ponente, a 780 metri di altitudine, il borgo medievale di Triora custodisce uno dei capitoli più oscuri e affascinanti della storia italiana: quello del processo alle streghe che tra il 1587 e il 1589 sconvolse questa piccola comunità montana, trasformandola per sempre nella “Salem d’Italia”. Questo drammatico episodio di isteria collettiva, superstizione e persecuzione religiosa non solo decimò la popolazione locale ma entrò nell’immaginario popolare creando un mito che dura ancora oggi.
La storia delle “bagiue” di Triora (così erano chiamate le streghe in dialetto locale) rappresenta uno degli esempi più documentati di caccia alle streghe nell’Italia del tardo Rinascimento, un fenomeno che coinvolse gran parte dell’Europa tra il XV e il XVII secolo. Ma ciò che rende unico il caso di Triora è la straordinaria quantità di documenti processuali sopravvissuti, che permettono di ricostruire con precisione gli eventi, i personaggi e l’atmosfera di terrore che pervase il borgo per oltre due anni.
Oggi Triora è diventata una meta turistica internazionale per appassionati di esoterismo, storia medievale e misteri, ma dietro il folklore e le leggende si nasconde una tragedia umana reale che merita di essere raccontata e compresa nel suo contesto storico. Passeggiare per i vicoli medievali di questo borgo significa ripercorrere le orme di donne innocenti che pagarono con la vita le superstizioni e i pregiudizi del loro tempo.
Le Origini del Borgo: Triora tra Medioevo e Rinascimento
La Posizione Strategica e la Storia Medievale
Triora sorge su uno sperone roccioso che domina la Valle Argentina, in una posizione strategica che per secoli controllò i traffici commerciali tra la costa ligure e il Piemonte. Il nome stesso del borgo deriva probabilmente dal celtico “tre-oro” (tre acque), riferimento ai torrenti che confluiscono nella zona, oppure dal latino “tria-ora” (tre bocche), allusione ai tre valichi montani che si aprono nei dintorni.
La storia documentata di Triora inizia nell’XI secolo, quando il borgo era già un importante centro fortificato sotto il controllo dei Conti di Ventimiglia. Nel 1261 Triora si sottomise volontariamente alla Repubblica di Genova, diventando uno dei capisaldi del dominio genovese nell’entroterra ligure di Ponente. La Serenissima investì molto nel rafforzamento delle fortificazioni e nel potenziamento dell’economia locale, basata principalmente sull’agricoltura, l’allevamento e il commercio del sale.
Durante il periodo medievale, Triora raggiunse una prosperità notevole grazie alla sua posizione di cerniera tra mare e montagna. Il borgo contava oltre 3000 abitanti (più della attuale Sanremo) ed era sede di importanti mercati settimanali che attiravano commercianti da tutta la Liguria occidentale e dal Piemonte meridionale. Le mura medievali, lunghe oltre due chilometri, racchiudevano un tessuto urbano fiorente con numerose chiese, palazzi nobiliari e botteghe artigiane.
La Crisi del Tardo Cinquecento
Verso la fine del XVI secolo, Triora iniziò a vivere un periodo di crisi profonda che avrebbe preparato il terreno per i tragici eventi successivi. Diverse carestie consecutive, causate da cattivi raccolti e fenomeni climatici avversi, misero in ginocchio l’economia locale. La popolazione, già provata dalla fame e dalle difficoltà economiche, iniziò a cercare capri espiatori per spiegare le disgrazie che si abbattevano sulla comunità.
La situazione fu aggravata dalle tensioni religiose dell’epoca post-tridentina, quando la Chiesa cattolica intensificò la lotta contro ogni forma di superstizione, paganesimo residuo e pratiche considerate eretiche. In questo clima di sospetto e paranoia religiosa, antiche tradizioni popolari legate alla medicina erboristica, alle pratiche agrarie ancestrali e ai culti della fertilità divennero improvvisamente sospette agli occhi dell’autorità ecclesiastica.
Il tessuto sociale di Triora, come quello di molte comunità montane dell’epoca, era caratterizzato dalla presenza di donne anziane depositarie di saperi tradizionali legati alla cura delle malattie, all’ostetricia, alla preparazione di rimedi naturali. Queste figure, rispettate e consultate per generazioni, divennero improvvisamente sospette quando le autorità iniziarono a vedere in ogni pratica non ortodossa un potenziale pericolo per l’ortodossia religiosa.
L’Inizio della Persecuzione: 1587, l’Anno della Paura
La Denuncia che Scatenò l’Inferno
Tutto iniziò nell’estate del 1587, quando una serie di raccolti disastrosi e alcune morti inspiegabili spinsero alcuni abitanti di Triora a presentare una denuncia formale al Vicario del Sant’Uffizio di Albenga, accusando alcune donne del borgo di praticare la stregoneria e di essere responsabili delle disgrazie che colpivano la comunità.
La denuncia, firmata da una trentina di capifamiglia, indicava specificamente tredici donne come responsabili di malefici, fatture e patti diabolici. Tra le accusate spiccavano i nomi di Franchetta Borelli, detta “la Gathered”, di Margherita Faudella e di altre donne anziane che per anni avevano svolto il ruolo di guaritrici e levatrici nel borgo. Le accuse erano varie e fantasiose: provocare tempeste, far morire il bestiame, causare aborti, avvelenare i pozzi, volare di notte in forma di animali.
Il clima di sospetto era alimentato dalle difficoltà economiche e sociali che il borgo stava attraversando, ma anche dalla circolazione del famigerato “Malleus Maleficarum” (Il Martello delle Streghe), il manuale per inquisitori scritto nel 1487 da Heinrich Kramer, che forniva dettagliate istruzioni per riconoscere, processare e punire le presunte streghe. Questo libro, diffuso in tutta Europa, aveva contribuito a creare un’isteria collettiva che vedeva streghe ovunque.
L’Arrivo dell’Inquisitore
In risposta alle denunce, il tribunale dell’Inquisizione di Genova inviò a Triora il giudice Giulio Scribani, accompagnato da uno staff di notai, guardie e esperti in materie di stregoneria. L’arrivo dell’inquisitore, nell’autunno del 1587, segnò l’inizio ufficiale del processo che avrebbe sconvolto per sempre la tranquilla comunità montana.
Scribani si insediò nel palazzo del Podestà (oggi sede del Museo Etnografico) e iniziò immediatamente gli interrogatori, utilizzando tutti i metodi consentiti dall’epoca: minacce, intimidazioni, e quando necessario, la tortura. Il sistema inquisitoriale prevedeva che l’accusato dovesse dimostrare la propria innocenza, un compito praticamente impossibile quando le accuse riguardavano crimini di natura soprannaturale.
La procedura seguita dal tribunale era quella codificata dalla Chiesa: interrogatori preliminari, confronti tra accusati e testimoni, applicazione della tortura per ottenere confessioni, verifica delle confessioni ottenute sotto tortura. Tutto veniva minuziosamente verbalizzato dai notai, creando quel prezioso archivio documentario che oggi permette di ricostruire nei dettagli questi tragici eventi.
I Primi Processi e le Confessioni Estorte
I primi interrogatori rivelarono la fragilità delle accuse: le presunte prove di stregoneria si basavano su superstizioni popolari, coincidenze fortuite e antichi rancori personali. Tuttavia, la pressione psicologica degli interrogatori e l’applicazione della tortura portarono alcune delle accusate a confessare crimini mai commessi, spesso coinvolgendo altre donne nelle loro deposizioni.
Franchetta Borelli, una delle prime ad essere processata, sotto tortura confessò di aver partecipato a sabbat notturni, di aver stretto patti con il diavolo e di aver compiuto malefici contro i suoi vicini. Queste confessioni, estorte con la violenza, divennero a loro volta fonte di nuove accuse che allargarono progressivamente il cerchio dei sospetti.
Il meccanismo della delazione si autoalimentava: ogni nuova confessione portava nuovi nomi, ogni nuovo nome generava nuovi sospetti, ogni nuovo sospetto alimentava la paranoia collettiva. Nel giro di pochi mesi, oltre una trentina di donne erano finite sotto processo, creando un clima di terrore che pervase l’intero borgo.
Il Cuore del Processo: Metodi, Torture e Confessioni
Le Tecniche dell’Inquisizione
Il processo di Triora seguiva fedelmente i metodi inquisitoriali dell’epoca, codificati in secoli di persecuzione religiosa. Gli interrogatori iniziavano sempre con domande apparentemente innocue sulla vita privata dell’accusata, sulle sue relazioni sociali, sulle sue conoscenze in materia di erbe medicinali e pratiche tradizionali. Gradualmente, le domande si facevano più insistenti e minacciose.
La tortura era considerata un mezzo legittimo per ottenere la verità, e veniva applicata secondo procedimenti ben codificati. Nel caso di Triora, sono documentati l’uso della “corda” (sospensione per i polsi legati dietro la schiena), della “veglia” (privazione del sonno per giorni), e di altri metodi che causavano sofferenze atroci senza lasciare segni visibili permanenti.
Le confessioni ottenute sotto tortura dovevano essere poi confermate dall’accusata in stato di lucidità, altrimenti venivano considerate nulle. Tuttavia, la minaccia di nuove torture spingeva quasi sempre le vittime a confermare quanto avevano dichiarato durante i supplizi, creando un circolo vizioso dal quale era praticamente impossibile uscire.
Il Mondo Immaginario delle Streghe
Dalle confessioni processuali emerge un mondo fantastico popolato di diavoli, sabbat notturni, voli magici e trasformazioni in animali. Le accusate, sotto la pressione degli interrogatori, descrivevano nei dettagli questi eventi soprannaturali, spesso ripetendo formule e racconti che avevano sentito da altre persone o che erano suggeriti dagli stessi inquisitori.
Franchetta Borelli raccontò di incontri notturni nella “Valle dei Bagiue” (Valle delle Streghe), un luogo reale nei dintorni di Triora che ancora oggi porta questo nome inquietante. Secondo le sue confessioni, qui le streghe si riunivano per celebrare riti diabolici, preparare pozioni malefiche e ricevere istruzioni dal demonio su come danneggiare la comunità cristiana.
Altre accusate confessarono di saper volare trasformate in farfalle o altri insetti, di provocare temporali e grandinate, di far ammalare bambini con il solo sguardo. Questi racconti, oggi chiaramente riconoscibili come frutto di suggestione e violenza psicologica, all’epoca venivano presi sul serio dalle autorità e dalla popolazione, alimentando ulteriormente il clima di terrore.
Le Vittime: Donne Sole e Indifese
Analizzando i documenti processuali, emerge chiaramente il profilo sociologico delle vittime della persecuzione: si trattava quasi esclusivamente di donne anziane, vedove, sole, spesso ai margini della società per povertà o per caratteristiche fisiche considerate inquietanti (deformità, strabismo, albinismo). Molte di loro erano levatrici, guaritrici o depositarie di antichi saperi popolari.
Questo profilo corrisponde perfettamente a quello delle vittime della caccia alle streghe in tutta Europa: donne che per la loro condizione sociale erano vulnerabili alle accuse e che spesso rappresentavano un peso economico per la comunità. La persecuzione assumeva così anche una funzione di “pulizia sociale”, eliminando elementi considerati indesiderabili.
Alcune delle accusate erano effettivamente praticanti di antiche tradizioni popolari legate alla medicina naturale, alla previsione del tempo attraverso segni naturali, ai riti propiziatori per i raccolti. Queste pratiche, perfettamente normali in una società rurale, venivano reinterpretate in chiave diabolica dagli inquisitori, che vedevano in ogni sapere non controllato dalla Chiesa una potenziale minaccia all’ortodossia.
L’Intervento della Repubblica di Genova
Il Conflitto di Giurisdizione
Man mano che il processo si allargava e le condanne a morte si moltiplicavano, le autorità civili della Repubblica di Genova iniziarono a preoccuparsi per le conseguenze economiche e sociali della persecuzione. Triora era un borgo importante per l’economia genovese e la decimazione della sua popolazione femminile rischiava di compromettere seriamente la produttività agricola e artigianale della zona.
Nel 1588, il Senato genovese decise di intervenire, rivendicando la propria giurisdizione sul territorio e contestando all’Inquisizione il diritto di processare cittadini della Repubblica senza il coinvolgimento delle autorità civili. Questo conflitto istituzionale rallentò notevolmente i processi, salvando probabilmente molte vite umane.
Il contrasto tra potere civile e religioso non era solo formale ma rifletteva differenze sostanziali nell’approccio al fenomeno della stregoneria: mentre l’Inquisizione vedeva nelle accusate un pericolo spirituale da eliminare, le autorità genovesi erano più preoccupate degli aspetti economici e sociali della questione, mostrando maggiore scetticismo verso le accuse di natura soprannaturale.
L’Inchiesta del Visitatore Apostolico
Di fronte alle pressioni genovesi e alle voci che iniziavano a circolare sui metodi brutali utilizzati a Triora, Roma decise di inviare un visitatore apostolico per verificare la regolarità dei processi. Monsignor Giustiniani, esperto canonista, arrivò a Triora nella primavera del 1589 con l’incarico di esaminare gli atti processuali e di valutare la fondatezza delle accuse.
L’inchiesta di Giustiniani rivelò numerose irregolarità procedurali e dubbi sulla attendibilità delle confessioni ottenute sotto tortura. Il visitatore apostolico si mostrò molto più scettico dei suoi predecessori riguardo alle accuse di stregoneria, seguendo una linea più prudente che iniziava a diffondersi negli ambienti ecclesiastici più colti dell’epoca.
Il rapporto finale di Giustiniani fu molto critico verso l’operato dell’inquisitore Scribani e raccomandò una drastica riduzione delle accuse, la liberazione di molte delle detenute e una revisione complessiva dei metodi utilizzati. Questo intervento segnò di fatto la fine della fase più acuta della persecuzione, anche se alcuni processi si trascinarono ancora per mesi.
La Fine della Persecuzione: Bilanci di una Tragedia
Il Conto Finale
Quando nel 1589 si concluse definitivamente la persecuzione, il bilancio fu drammatico: oltre quaranta donne erano state processate, tredici erano state condannate a morte e giustiziate, molte altre erano morte in carcere durante la detenzione, alcune erano riuscite a fuggire abbandonando per sempre il borgo. L’intera comunità era stata traumatizzata da due anni di terrore, sospetti e delazioni.
Tra le vittime accertate spiccano i nomi di Franchetta Borelli, Margherita Faudella, Caterina Gerbora e altre donne che pagarono con la vita la loro condizione di emarginazione sociale e le superstizioni dell’epoca. Le loro storie, ricostruite attraverso i documenti processuali, raccontano di esistenze difficili, di povertà, di solitudine, rese ancora più tragiche da una morte ingiusta e crudele.
Molte delle sopravvissute furono profondamente segnate dall’esperienza: alcune abbandonarono definitivamente Triora, altre vissero per sempre nell’ombra del sospetto, tutte portarono nel corpo e nell’anima i segni delle violenze subite. Il tessuto sociale del borgo fu lacerato da odi e rancori che si perpetuarono per generazioni, mentre l’economia locale impiegò decenni per riprendersi dal trauma della persecuzione.
Le Conseguenze a Lungo Termine
La caccia alle streghe di Triora ebbe conseguenze che andarono ben oltre i confini temporali del processo. Il borgo acquisì una fama sinistra che perdurò per secoli: ancora nel XIX secolo, i viaggiatori che si avventuravano in quelle montagne riferivano di un’atmosfera inquietante e di leggende paurose che si tramandavano di generazione in generazione.
Dal punto di vista demografico, Triora non si riprese mai completamente dal trauma: da oltre 3000 abitanti del XV secolo, la popolazione scese gradualmente fino ai poche centinaia di residenti attuali. Questo spopolamento fu causato non solo dalle morti del processo ma anche dall’emigrazione di molte famiglie che preferirono cercare fortuna altrove piuttosto che continuare a vivere in un luogo segnato da ricordi così dolorosi.
Paradossalmente, la tragedia delle streghe finì per diventare nei secoli successivi l’elemento più caratteristico dell’identità locale: Triora divenne famosa in tutta Europa come “il borgo delle streghe”, attirando curiosi, studiosi e appassionati di esoterismo. Questa fama ambigua rappresenta ancora oggi il principale richiamo turistico del paese, in un singolare esempio di come una tragedia possa trasformarsi in risorsa economica.
I Luoghi della Memoria: Triora Oggi
Il Museo Etnografico e della Stregoneria
Oggi Triora custodisce la memoria di quegli eventi tragici attraverso il Museo Etnografico e della Stregoneria, allestito nel palazzo che fu sede del tribunale dell’Inquisizione. Il museo, inaugurato nel 1983, conserva documenti originali del processo, strumenti di tortura dell’epoca, oggetti della vita quotidiana del XVI secolo e ricostruzioni storiche che aiutano a comprendere il contesto in cui maturarono quegli eventi.
La sezione dedicata alla stregoneria presenta in modo scientifico il fenomeno della caccia alle streghe in Europa, spiegando le cause storiche, sociali e psicologiche che portarono a queste persecuzioni. Particolare attenzione è dedicata al caso specifico di Triora, con la riproduzione di documenti processuali e la ricostruzione degli eventi attraverso pannelli didattici e supporti multimediali.
Il museo non indulge al sensazionalismo o all’esoterismo commerciale ma mantiene un approccio rigorosamente storico, rendendo omaggio alle vittime della persecuzione e contribuendo a far comprendere ai visitatori la tragicità di quegli eventi. La biblioteca del museo conserva una delle più complete collezioni europee di testi sulla stregoneria e sulla caccia alle streghe.
I Luoghi Simbolici del Borgo
Passeggiare per Triora significa ripercorrere i luoghi dove si consumò la tragedia: la Cabotina, il quartiere dove vivevano molte delle accusate; la Collegiata di Nostra Signora Assunta, dove si celebravano le messe di ringraziamento dopo ogni esecuzione; le mura medievali dove erano esposte le teste delle giustiziate come monito per la popolazione.
La Casa delle Streghe, un edificio abbandonato nel centro storico, è indicata dalla tradizione come il luogo dove si riunivano le presunte streghe per i loro sabba. Anche se non esistono prove storiche di questa identificazione, la casa è diventata uno dei luoghi più visitati del borgo, circondata da un’aura di mistero che attira curiosi da tutto il mondo.
La Cabotina, antico rione dove sorgevano le abitazioni più povere del borgo, conserva ancora l’atmosfera medievale con i suoi vicoli stretti, le case in pietra e gli archi gotici. Qui vivevano molte delle donne poi accusate di stregoneria, e alcune delle abitazioni mostrano ancora oggi stemmi e simboli che la fantasia popolare ha interpretato come segni magici, anche se si tratta probabilmente di comuni decorazioni dell’epoca.
Il Turismo Esoterico e Culturale
Negli ultimi decenni, Triora è diventata una meta internazionale per appassionati di esoterismo, storia medievale e turismo culturale. Il borgo attira ogni anno migliaia di visitatori che vengono a conoscere la storia delle streghe ma anche a ammirare le bellezze artistiche e paesaggistiche di questo angolo di Liguria rimasto fuori dai circuiti del turismo di massa.
Eventi come il Festival delle Streghe (ad agosto) e la Notte delle Streghe (ad Halloween) combinano rievocazioni storiche, spettacoli teatrali e conferenze scientifiche, creando un’offerta turistica che soddisfa sia chi cerca il brivido del mistero sia chi è interessato agli aspetti storici e culturali. Questi eventi, pur mantenendo un approccio rispettoso verso le vittime storiche, contribuiscono a mantenere viva la memoria del borgo.
Il successo turistico di Triora ha portato alla riscoperta e valorizzazione di tutto il patrimonio storico-artistico del borgo: oltre al museo della stregoneria, sono stati restaurati palazzi medievali, chiese romaniche, affreschi antichi che testimoniano della ricca storia del paese al di là degli eventi del XVI secolo.
Riflessioni Storiche: Lezioni dal Passato
Il Fenomeno Europeo della Caccia alle Streghe
Il caso di Triora non fu isolato ma si inserì in un fenomeno molto più ampio che tra il XV e il XVII secolo colpì tutta l’Europa, causando la morte di decine di migliaia di persone (secondo alcune stime, fino a 100.000 vittime). Le cause di questa “epidemia” di persecuzioni furono molteplici: crisi economiche e sociali, tensioni religiose, trasformazioni culturali, meccanismi psicologici di capro espiatorio.
La maggior parte delle vittime furono donne, spesso anziane, povere, sole, ai margini della società. Questo dato sociologico rivela come la caccia alle streghe fosse spesso un meccanismo di eliminazione di soggetti considerati “improduttivi” o “pericolosi” dalla società dell’epoca. Le accuse di stregoneria diventavano così uno strumento di controllo sociale e di “pulizia” demografica.
L’aspetto più inquietante di questi fenomeni è la rapidità con cui comunità apparentemente normali potevano trasformarsi in folle violente, disposte a torturare e uccidere vicini di casa sulla base di accuse palesemente infondate. La dinamica della delazione, dell’isteria collettiva e della ricerca del capro espiatorio si rivelò terribilmente efficace nel distruggere i legami sociali e scatenare la violenza.
Gli Strumenti del Potere
Il processo di Triora illustra perfettamente come il potere istituzionale (in questo caso religioso) potesse utilizzare superstizioni popolari e paure collettive per rafforzare il proprio controllo sulla società. L’Inquisizione non inventò la credenza nelle streghe ma la utilizzò come strumento per affermare la propria autorità e eliminare forme di sapere e pratica sociale non controllate dalla Chiesa.
La meticolosa documentazione del processo rivela anche l’importanza della burocrazia nella perpetuazione della violenza: ogni tortura, ogni confessione, ogni condanna veniva accuratamente verbalizzata, creando una patina di legalità che mascherava l’arbitrarietà sostanziale delle procedure. Il potere della scrittura e del documento ufficiale trasformava crimini immaginari in fatti giuridicamente accertati.
L’intervento finale delle autorità civili genovesi dimostra come spesso fossero considerazioni pratiche (economiche, demografiche, politiche) più che principi umanitari a porre fine alle persecuzioni. La Repubblica di Genova non intervenne per pietà verso le vittime ma per proteggere i propri interessi economici minacciati dallo spopolamento di un territorio importante.
Conclusioni: La Memoria che Insegna
La tragedia delle streghe di Triora rappresenta una pagina buia della storia italiana che merita di essere ricordata non solo per onorare le vittime di quelle persecuzioni ma anche per riflettere sui meccanismi sociali e psicologici che possono trasformare comunità pacifiche in folle violente. Gli eventi del 1587-1589 mostrano con crudele chiarezza come superstizione, paura, ignoranza e autoritarismo possano combinarsi per produrre tragedie umane di enormi proporzioni.
La storia di Triora insegna che la civilizzazione è sempre fragile e che bastano poche condizioni avverse (crisi economica, tensioni sociali, autorità irresponsabili) per far riemergere i lati più oscuri della natura umana. La facilità con cui accuse infondate si trasformarono in condanne a morte, vicini si trasformarono in delatori, una comunità si autodistrusse nel giro di pochi mesi, rappresenta un monito ancora attuale sui pericoli dell’intolleranza e del fanatismo.
Oggi Triora ha trasformato la sua tragica storia in un’opportunità di riflessione culturale e di crescita economica, dimostrando come anche i traumi più profondi possano essere elaborati costruttivamente. Il borgo delle streghe è diventato un laboratorio di memoria storica che aiuta a comprendere il passato per costruire un futuro più consapevole e tollerante.
La lezione più importante che viene da Triora è forse questa: che la barbarie può annidarsi anche nelle società apparentemente più civili e che solo la conoscenza, l’educazione e la vigilanza democratica possono proteggerci dal ripetersi di simili tragedie. Le donne che morirono sui roghi di Triora non sono morte invano se la loro storia serve a rendere l’umanità più saggia e più giusta.
Il vento che soffia tra i vicoli medievali di Triora porta ancora l’eco delle loro grida, ma oggi quelle voci non parlano più di terrore e di morte: parlano di memoria, di giustizia, di speranza che simili orrori non si ripetano mai più. In questo senso, le streghe di Triora hanno ottenuto la loro vendetta più dolce: sono diventate simbolo non di superstizione e paura, ma di libertà e di diritti umani.
Scopri l’eccezionale museo di Triora legato alla storia delle streghe
Articolo pubblicato da Stile Tricolore





